ESCLUSIVA - Alvaro Pereira: "Con Inzaghi mi sarei divertito. Volevo vincere, Zanetti mi calmava"
Nacional de Montevideo in Uruguay, poi il River Plate paraguaiano, il Sered in Slovacchia e l'Estudiantes de Merida in Venezuela. Queste sono solo le ultime tappe toccate dal lungo girovagare di Alvaro Pereira nelle ultime due stagioni (!): non male per un giocatore che ha da poco compiuto 36 anni. "Ma al ritiro non ci penso, sono ancora pazzo per il calcio" - dice Palito, così lo chiamano da sempre compagni ed allenatori.
La redazione de L'Interista ha raggiunto telefonicamente l'ex esterno nerazzurro, arrivato a Milano nella stagione 2012/2013, quando in panchina c'era mister Andrea Stramaccioni. In una stagione e mezza l'uruguaiano non ha lasciato il segno, incontrando diverse difficoltà come un po' tutta la squadra, prima di essere ceduto al San Paolo: "Mi mancava poco per fare bene, solo che misi l'obiettivo del Mondiale 2014 davanti a tutto e chiesi la cessione" - ci spiega.
Alvaro, come stai?
"Sto bene, ora sono in vacanza, è terminato il campionato qui in Venezuela. Ci siamo qualificati per la Copa Sudamericana, la nostra Europa League, con una squadra normalev. Una bella stagione, l'anno scorso non si era qualificata per nessuna coppa. L'esperienza è finita bene. Ora dovrei tornare a metà gennaio, però non so ancora che fare".
Nuovo trasferimento in vista?
"La mia famiglia non è venuta con me in Venezuela, non è stato facile fare 10 mesi qui da solo. Un'esperienza di più nella mia carriera".
E di esperienze ne hai fatte molte, solo negli ultimi due anni sei stato in Uruguay, Paraguay e Slovacchia, prima del Venezuela! A 36 anni, è l'amore per il calcio che ti spinge?
"(ride, n.d.r.) Mi diverto ancora tanto con la palla e sono sempre pronto ad una nuova avventura. Ma la famiglia arriva prima di tutto. Ma sì, sono "pazzo" per questo sport. Giocherei anche in Africa, che mi manca, pur di continuare".
Quando sei venuto in Europa, al Cluj, per la prima volta, che aspettative avevi?
"Era tutto nuovo, non avrei mai pensato di venire in Europa all'epoca. Giocavo all'Argentinos Juniors, la squadra di Maradona. Avevamo fatto un grande campionato e si parlava per me delle big argentine e del Messico. Mi chiama il Cluj, prendo un volo e vado a vedere prima la città. Mi trovo benissimo, firmo e mi ritrovo a giocare in Champions League. Un sogno. Un anno bellissimo, dove abbiamo vinto la coppa rumena. Per poi fare il salto al Porto":
Ad Oporto vincevi e ti divertivi molto, no?
"Mi voleva anche il Benfica, ma Cristian Rodriguez e Jorge Fucile hanno preso a chiamarmi e a dirmi: 'Non andare lì, vieni da noi!'. Allora sono andato lì, la mia più grande esperienza della carriera".
Dove trovasti giocatori come Guarin, Falcao, Hulk...
"Aggiungo Bruno Alves, Raul Meireles, poi anche Otamendi, James Rodiguez, Fernando, Rodriguez eravamo in tanti. Una stagione bellissima. E la vita di Oporto era fantastica: un paese che sembra... di un altro paese! Sembra una città della Catalunya. Senti il calcio in un'altra forma, lo vivono 24 ore al giorno".
Ti guadagnasti la chiamata del'Inter, dove le cose non andarono per il meglio.
"Dico sempre che in Italia ho pagato un po' l'adattamento ad un mondo per me nuovo. Ti dico che sono certo del fatto che mi mancava poco, davvero poco, per fare molto meglio di quanto non sono riuscito a fare in nerazzurro. Ma stava per arrivare la Coppa del Mondo 2014, così scelsi di mettere la Nazionale davanti al club".
Chiedesti tu la cessione dunque?
"Avevo bisogno di giocare tanto per guadagnarmi la chiamata della Celeste, così andai al San Paolo. Mazzarri mi disse: 'Vorrei che rimanessi, ma il tuo ragionamento è giusto'. Ho grande rispetto per Walter e per quel discorso che mi ha fatto. Anche se mi è dispiaciuto lasciare le cose a metà con l'Inter e con i suoi tifosi".
Cosa non andò per te?
"Le mie caratteristiche come calciatore erano differenti da quello che l'Italia richiedeva. Da voi c'era grande attenzione per la difesa, per la tattica, erano tutti movimenti automatici da imparare. Una cosa diversa da quanto ero abituato. Ho subito molto questo aspetto. Io quando avevo la palla volevo andare all'attacco, a fare gol. Un po' come è diventato oggi il calcio italiano".
Con Inzaghi ti saresti trovato benissimo quindi...
"Sicuramente (ride, n.d.r.) Sarei stato curioso di giocare in questa Inter, ogni tanto ci penso, mi sarebbe piaciuto. Perché quella di adattarmi ad una mentalità così differente, difensiva, è stata una delle principali difficoltà a livello personale. In quel campionato c'erano delle squadre che giocavano già come oggi fanno in molte in Italia, su tutte ricordo una grande Fiorentina con Montella, faceva un calcio spumeggiante".
La vostra era una squadra dal grande potenziale, ma anche molto sfortunata, in inverno eravate a ridosso della vetta e vincevate allo Juventus Stadium...
"Quando arrivai a Milano trovai grandi cambiamenti. Stavano lasciando giocatori leggendari come Julio Cesar, Maicon, Lucio, dopo qualche mese anche Sneijder. Con me arrivarono Handanovic, Palacio, Cassano, Kovacic a gennaio. Eravamo partiti bene, ma senza riuscire a confermarci dopo l'inverno. Erano anni di transizione, in quello successivo è arrivato Thohir e con il passaggio di consegne societario si è creata un po' di confusione in campo. Per le questioni extra campo ne abbiamo risentito sul terreno di gioco. Mi aiutava tantissimo Pupi Zanetti in quel periodo, ancora oggi parlo con lui molto visto che abbiamo entrambi casa a Como".
Cosa vi dite?
"Gli ho fatto i complimenti per lo Scudetto, un grande traguardo. Ma ho avuto un ottimo rapporto anche con altri, come Samuel, Cambiasso, Alvarez, Chivu, Ranocchia, Handanovic, Palacio, non ne sto citando tanti che non mi vengono in mente ora. A livello sportivo non abbiamo raccolto molto, ma nello spogliatoio c'era un clima molto bello".
Anche perché c'erano alcuni giocatori che vi facevano divertire, come Nagatomo e Cassano...
"Oh, mamma mia (ride, n.d.r.)! Che risate, tutto il tempo e quanti scherzi! Con Yuto c'era da sbellicarsi ogni giorno, Antonio poi, che dire di lui? Era un pazzo vero, ma una grandissima persona".
Gente come Zanetti, Cambiasso e Milito stava per lasciare l'Inter (ed il calcio): quanto si sentiva nello spogliatoio?
"Moltissimo, trasmettevano sempre tranquillità e forza. Personalmente mi dicevano sempre di stare sereno, perché con il tempo i risultati sarebbero arrivati. Sapevano che io al Porto mi ero abituato a trionfare, visto che avevamo vinto campionati, coppe nazionali, l'Europa League, poi anche in Nazionale con la Copa America".
A Milano non fu facile trionfare in quegli anni.
"Arrivando all'Inter dopo il Triplete, mi sentivo spesso ripetere dai senatori: 'Pali, pazienza, i risultati arriveranno'. Zanetti una volta aggiunse: 'Io sono arrivato nel 95' e la Champions l'ho alzata nel 2010!'. Mi parlava spesso della vittoria a Madrid. Ragionamenti giusti, ma in quei momenti io volevo continuare a vincere. Non era facile, c'era una Juventus molto forte, così come lo erano la Roma, la Lazio, una Fiorentina fortissima".
Segui ancora l'Inter?
"Sì, la guardo e mi piace molto. Come ti dicevo, a volte penso: "Certo che se fossi arrivato in un momento come questo...". (ride, n.d.r.). Con Conte è tornata in alto ed ora con Inzaghi il modo con cui gioca è bellissimo ed ha grandi possibilità di vittoria anche quest'anno".
In Champions tornerà in Inghilterra, contro il Liverpool. Anche voi affrontaste una sfida difficile, in Europa League contro il Tottenham, sfiorando l'impresa..
"Si può fare, non è impossibile, l'Inter ha una grandissima squadra. Poi un fattore fondamentale che potrebbe tornare a vantaggio dei nerazzurri è il fatto che non c'è più la regola del gol fuori casa. Credo che possa infatti avvantaggiare più la squadra che non parte favorita nel doppio confronto, come in questo caso è l'Inter. Nella partita di cui parlavi tu ci fu fatale, visto che andammo a rimontare il 3 a 0 dell'andata con il 4-1 del ritorno, uscendo ugualmente".
Nel futuro, dopo il ritiro, ti vedi come allenatore?
"Un giorno alla volta, non penso ancora al ritiro. Dopo essermi ripreso da un infortunio durante l'esperienza in Paraguay, mi sono dato questo motto. Quel che è certo è che mi vedo ancora vicino al calcio, che amo tanto. Non so ancora se come allenatore, dirigente o nelle giovanili".
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