L'equivoco che vive Lautaro Martinez: il Pallone d'Oro è una distrazione
Nel giorno di lunedì 28 ottobre, è avvenuta la consegna del Pallone d'Oro. Vengo svegliato da un sondaggio lanciato da un amico in una chat di gruppo su whatsapp: "Lautaro è sopravvalutato?". La provocazione arriva da una persona che non ha grande stima delle qualità del Toro. E giù a dibattere, con opinioni così distanti fra loro che non vale nemmeno la pena di riportare, fra chi lo considera alla stregua di Haaland e chi invece un giocatore che non merita di essere accostato al norvegese.
Uscendo da whatsapp e andando a leggere i media, fin dalle prime ore del mattino il tam-tam mediatico si è concentrato sul caso Rodri e sulla mancata vittoria dello stesso Vinicius, con conseguente muso lungo del Real Madrid, che con la ripicca tipica di chi non sa perdere ha disertato la cerimonia. Fra i confini italici invece ha fatto parecchio parlare l'arrivo del Toro al settimo posto: deludente, dato che filtrava da tempo che potesse arrivare almeno fra i primi 5, se non 3. Tanto che ancora oggi se ne discute, con lo stesso argentino che ripropone il tema dopo aver segnato all'Empoli dichiarandosi deluso dal posizionamento nella graduatoria. Ecco, l'auspicio è che dal Venezia in poi non se ne parli più: parlare e pensare al Pallone d'Oro di Lautaro rischia di essere una distrazione pericolosa, uno specchietto per le allodole, per l'Inter.
Per quanto fatto con il proprio club infatti, non è stato sufficiente il suo rendimento europeo lo scorso anno per sperare in una maggiore considerazione: se si auspicava in qualcosa di più è soprattutto perché in estate è poi arrivato il valore aggiunto dalla vittoria da protagonista in Copa America, che evidentemente però non viene poi così considerata da parte di chi vota, a differenza dell'Europeo. Ingiustizie del caso per le quali sono passati in tanti in passato.
Ma alla fine, arrivare settimi o quinti, cambia poco: altra cosa era parlare del mancato Pallone d'Oro a Sneijder (o Iniesta, in base alle preferenze...) nel 2010, per citare anche l'esempio fatto oggi da Materazzi a La Gazzetta dello Sport. Si diceva che tutta questa storia non deve distrarre, innanzitutto Lautaro stesso, che ha spesso dimostrato di accusare il colpo quando si addossa troppe responsabilità e non riesce poi a mantenerle. Lautaro è tipo esigente con sé stesso, probabilmente nella sua testa l'obiettivo è quello di vincere tutto, sia a livello personale che di squadra e di farlo da protagonista (non che gli manchino poi tanti trofei per farcela, fra l'laltro). Sarà anche per questo che, quando gli capita - come capita a tutti gli attaccanti del mondo - di non segnare per 2-3 partite, poi sembri andare più in crisi di quanto capiti ad altri giocatori di quel livello.
Il Toro però vive un grande equivoco.
Quale? Quello di essere perennemente messo a paragone con giocatori come appunto Haaland (o Lewandowski e gli altri migliori 9 dell'ultima decade). Intendiamoci: il mio pensiero è che sia uno dei migliori attaccanti del mondo, nel senso che non è facile trovare poi tanti attaccanti che garantiscano i suoi gol ed il suo rendimento, in circolazione.
Questa pratica di paragone con i "super-top" però non fa bene a nessuno e distoglie da quelle che sono le cose straordinarie che sta facendo. L'equivoco nasce dal fatto che come Haaland probabilmente non c'è nessuno, perché parliamo di un attaccante che ha perennemente più gol che presenze. Anche quest'anno non è partito male: sono 14 in 12 partite. Prenderlo come obiettivo per crescere può fare bene, ma farlo diventare un metro di paragone è invece alquanto pericoloso. Anche perché probabilmente al suo ritiro dal calcio cominceremo a discutere del fatto che sia stato o meno il migliore della storia nel suo ruolo.
I numeri dell'argentino sono stati sempre in crescendo da quando è sbarcato in Italia. Ora è arrivato al punto che la gente, quando l'Inter si approccia ai big match come quello con l'Atletico Madrid dello scorso anno agli ottavi di Champions, si aspetti che sia il numero 10 a tirare fuori la giocata. Ecco, su questo magari può lavorare, ma non dipende solo da lui dato che anche per caratteristiche non è quel tipo di giocatore che può contare solamente sulle sue qualità.
Questo non toglie il fatto che Latuaro faccia bene a puntare ad Haaland, finché rimane uno stimolo rabbioso che si traduce in quanto visto contro l'Empoli. Anché perché tutto questo discorso non significa che Lautaro non possa puntare a vincere il Pallone d'Oro in futuro: chi lo dice che il capitano nerazzurro non possa vivere una o più stagioni anche superiori a tutti gli altri, magari vincendo il premio più importante di quelle annate, che sia con l'Inter o con l'Argentina? In quel caso il Pallone d'Oro non glielo leverebbe nessuno, ma sarà la logica conseguenza del verdetto del campo conquistato con la sua squadra. Pensate ad esempio se per caso Lautaro avesse vissuto una grande serata ad Istanbul contro il Manchester City due anni fa: magari già faremmo discorsi differenti, ma si capisce che una partita non possa cambiare i giudizi, visto poi che nella stessa serata pure Haaland non fu di certo fra i migliori.
Lautaro non è né Messi, né Cristiano Ronaldo, che pure avevano bisogno di sostegno dei compagni per arrivare ai loro obiettivi, ma che erano in grado di vincere le partite letteralmente da soli. Dunque si torni a pensare al campo: anche per gli obiettivi personali, serve partire dal macinare punti in campionato con lo spirito e la determinazione avute ad Empoli, che hanno ricordato quelle della vittoriosa passata stagione. E Lautaro si goda l'amore del suo popolo, che a Milano lo ha eretto a Re: questa può essere la sua arma in più per arrivare a scalare vette ancora inesplorate.
Testata giornalistica Aut.Trib.di Milano n.160 del 27/07/2021
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