Marotta: "Fallimento? Non esiste, se ne dicono tante. Paratici-Milan, una leggenda"

Beppe Marotta, presidente dell’Inter, è intervenuto dal palco de Il Foglio a San Siro: “Io ho fatto la mia carriera da dirigente, correndo per vincere. Farlo da presidente è come consacrare una carriera”.
Cosa è cambiato con il passaggio a Oaktree?
“Ci sono dei concetti erano usati prima e vengono usati anche oggi. La differenza sostanziale è che prima avevamo un punto di riferimento in una persona fisica che era Zhang. Oggi abbiamo un fondo, composto da professionisti: c’è un team di esperti in determinate aree e c’è un confronto che si concilia con le loro attitudini e le loro competenze. La cosa che ci terrei a sottolineare è la loro presenza quotidiana, silenziosa ma presente. La seconda cosa fondamentale è il concetto di delega, che al pari della competenza rappresenta una qualità che qualsiasi azienda deve avere”.
Un’Inter che punta al poker.
“Noi siamo contenti di essere presenti al momento giusto nelle varie competizioni, questo volevamo raggiungere e l’abbiamo fatto. Poi abbiamo l’obbligo di provarci, ma ci tengo a dirlo: abbiamo vinto a Monaco, ma non abbiamo vinto nulla. Tutti i risultati possono essere stravolti, servirà la stessa determinazione di Monaco. Abbiamo vinto con merito e con la consapevolezza di voler vincere. Adesso abbiamo il ritorno, si invertono le parti: favoriti siamo noi e loro sfavoriti, sta a noi avere la mentalità giusta. Però allo stesso tempo non possiamo dimenticare che sabato abbiamo un appuntamento importante, il Cagliari: nello sport capita che, se non sei collegato tra cervello e gambe, rischi di non essere all’altezza. Sulla carta è facile, sul campo le difficoltà sono tante, e quello che vogliamo inculcare ai giocatori è di andare in campo con il Cagliari come a Monaco”.
Anche perché si pensa a Parma…
“In Italia non ci sono più partite facili, anche le squadre di provincia riescono a darti del filo da torcere. Si parla tanto degli scontri diretti, che sono sicuramente importanti, ma le partite poi sono tutte piene di difficoltà. E le maggiori difficoltà spesso si riscontrano con squadre facili sulla carta, ma che nascondono grandi insidie. Mancano sette giornate e non guardo il calendario, dico solo che dobbiamo convivere con tre realtà - campionato, Champions e Coppa Italia - che ci coinvolgono in maniera diversa rispetto a squadre come il Napoli che ci sfida per lo scudetto”.
In estate giocherete il mondiale per club.
“Intanto è la prima volta e il fatto di rappresentare l’Italia è motivo di grandissimo orgoglio, che è frutto degli ultimi anni. La condizione era un ranking superiore, ci siamo riusciti con grande merito. È un’esperienza nuova, che si incastra tra due stagioni, e ci sarà l’inesperienza di tutti nel gestire l’inizio e la fine, considerando che poi il 23/24 agosto inizierà il campionato. Tutto questo in un contesto in cui si rischia di esasperare la pressione agonistica delle partite, con grandi difficoltà. Abbiamo imparato negli anni come le rose ristrette non siano sufficienti a fronteggiare gli impegni che abbiamo, non dimentichiamo che ci sono anche le nazionali. Lo scenario va armonizzato meglio: ci sono tanti soggetti, dalle leghe nazionali a Uefa e Fifa, prima o poi bisogna cercare di trovare più armonia. Per esempio, è un’idea personale, sono assolutamente per ridurre le venti squadre e portarle a diciotto in Serie A. Lo dico da sempre”.
Le piccole magari sono meno d’accordo.
“Dal mio punto di vista sono nettamente favorevole. Poi squadre meno blasonate forse vogliono conservare il format delle venti, però io lo dico spesso anche a loro: se le grandi vanno bene, anche il calcio italiano va bene. Se otteniamo risultati vincenti, che si trasformano in maggiori ricavi, questi ultimi si investono nel mercato domestico. Va di pari passo con una componente della vittoria, che secondo me è uno zoccolo duro di italiani: per comprarli devi avere la disponibilità”.
A tal fine può servire la seconda squadra?
“Io sono molto d’accordo, l’esperimento alla Juventus è partito sotto la mia gestione e negli anni ha portato dei frutti. Al di là dell’aspetto economico c’è quello sportivo: alla luce della considerazione che le rose devono essere ampliate, così avresti la possibilità di avere un serbatoio da cui attingere le cosiddette riserve. È indispensabile, perché oggi i format della nostra federazione hanno la prima squadra e l’under 19, con un divario che si fa molto sentire, soprattutto nei grandi club”.
L’Inter avrà la seconda squadra?
“Al 100%. A patto che ci sia la possibilità di inserimento nel campionato di Lega Pro, perché bisogna che ci sia posto. Giocheremo con ogni probabilità a Monza e ci alleneremo probabilmente a Interello”.
L’obiettivo sul mercato è abbassare l’età della rosa?
“L’obiettivo generale è quello di rispondere a un concetto di sostenibilità. Ci deve accompagnare sempre ed è l’inverso del modello di riferimento degli anni della nostra gioventù, dei presidenti mecenati che miravano al risultato sportivo e poi di conseguenza a quello di bilancio. Oggi nessun club, viste anche le licenze nazionali, è in grado di preferire l’uno all’altro. Aggiungo che l’equazione chi più spende più vince non è vera”.
Qualcuno dice che fallite…
“Fallite addirittura è una parolaccia che proprio non esiste. Su di noi ne dicono tante. Con un pizzico di ironia fa parte di quel concetto della cultura dell’invidia. Chi vince generalmente si porta dietro questo concetto sbagliato. Noi non abbiamo mai rischiato il fallimento, siamo una società che ha un’esposizione finanziaria, abbiamo un bond che controlliamo benissimo. Non abbiamo debiti verso fornitori o banche, altrimenti non avremmo potuto essere iscritti. Ci sono licenze che impongono il rispetto di certi parametri finanziari ed economici. Non abbiamo pendenze, paghiamo il debito verso l’erario, c’è questo luogo comune di confondere le difficoltà sopra la nostra testa rispetto alla gestione del club”.
Si dice che abbia influito sul dietrofront del Milan su Paratici.
“Questa è un’altra leggenda metropolitana milanese. Io non so se esiste un cavaliere bianco, una metafora che si usa tanto nella finanza. Come è possibile immaginare che io abbia potuto condizionare il proprietario, il presidente o l’amministratore delegato del Milan. Sono tutte persone che hanno competenza e non aspettano il mio suggerimento. Anche volendo, cosa avrei fatto? A me personalmente, se Paratici venisse a fare il direttore sportivo del Milan sarei ancora più contento, perché mi genererebbe ulteriori stimoli e quindi sarei ancora più incazzato”.
Avanti con Inzaghi anche senza vittorie?
“Con Inzaghi abbiamo avuto quella circostanza favorevole che si chiama fortuna di prenderlo al momento giusto. Non tutti lo ricordano, ma quando andrà via Conte la disponibilità sul mercato non era così numerosa: lui stava firmando con la Lazio e per fortuna non l’aveva ancora fatto. Abbiamo avuto la fortuna di aver trovato un bravo allenatore, che è migliorato negli anni ed è ancora giovane. Ha dimostrato di possedere tutte le conoscenze specifiche del mondo del calcio, non è un bravo allenatore solo a livello di tattica, ma anche nella gestione degli uomini. Oggi è un aspetto difficile”.
È nella top dei suoi allenatori?
“Sicuramente in prima fascia. Poi il podio degli allenatori non lo faccio, non saprei come”.
A fine stagione sarà contento se?
“Anche qui, cultura. Intanto siamo presenti in tutte le competizioni nella fase decisiva della stagione. A livello economico, abbiamo introitato una valutazione molto importante grazie alla Champions. È chiaro però che l’ambizione di un dirigente è di puntare sempre più in alto: non vogliamo fare le comparse. Se poi altri saranno più bravi di noi, ci inchineremo. Ma vogliamo credere di poter vincere campionato, Champions e Coppa Italia”
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