Dimarco: "Dopo la finale di Champions ero morto, poi ha "vinto" l'orgoglio. Inter, gruppo straordinario"

Dimarco: "Dopo la finale di Champions ero morto, poi ha "vinto" l'orgoglio. Inter, gruppo straordinario"TUTTOmercatoWEB.com
Oggi alle 16:00News
di Marco Corradi

Prosegue l'intervento di Federico Dimarco al podcast The Bsmt di Gianluca Gazzoli, con l'esterno nerazzurro che raccolta la sua ascesa: "Ho capito che ce la stavo facendo l'anno della finale di Champions League persa. Ho iniziato a giocare con continuità e con mia moglie ci siamo detti: ci siamo".

Tua moglie ti ha sempre seguito?

"Lei faceva ginnastica artistica a livello nazionale e devi scegliere: lo seguo o no. La distanza non aiuta, Giulia mi ha sempre seguito e supportato ovunque sia andato e qualsiasi cosa abbia fatto nella mia carriera". 

Com'è la famiglia quando sei un calciatore importante? Come si gestiscono i tempi?

"Ci alleniamo tutti i giorni, la mattina. A volte ci si allena al pomeriggio, poi dipende tra casa e trasferta: coi ritiri e i viaggi stai via due giorni, più o meno. Quando torno a casa cerco di stare coi miei figli, per loro non è facile avere il papà sempre in giro. Agli Europei sono stato via un mese e non li ho visti, ma è un lavoro come un altro. Quando sei lontano non è facile, ti dispiace stare lontano dai figli. Il piccolo ha tre anni, la femmina è più grande e ne ha sei". 

Torni all'Inter e iniziano subito ad arrivare i risultati?

"L'anno che sono tornato abbiamo perso lo scudetto, ma abbiamo vinto la Coppa Italia e la Supercoppa Italia contro la Juventus, col gol di Sanchez".

Che emozioni ti ha dato vincere un trofeo con l'Inter?

"Sono emozioni che ti porti dietro per sempre. Lo scudetto è stato la ciliegina sulla torta".

Sei stato uno dei grandi protagonisti dello scudetto e dei festeggiamenti, ti sei letteralmente buttato in mezzo ai tifosi in Duomo…

"Io l'avevo dichiarato anche prima della partita: se va bene, io ve lo dico, andiamo in Piazza Duomo e io mi butto tra i tifosi. Ho fatto anche il festeggiamento classico, tempo di mangiare qualcosa mezz'ora e poi basta. Nella foto ufficiale con la torta non ci sono perché ero in piazza coi tifosi, nel delirio. Ero già distrutto, non avevo più voce".

Come l'hanno vissuta questa tua presenza, i tifosi? Come li hai visti?

"Credo che provino emozione. Ogni tanto bisogna buttarsi in mezzo alla gente, fa piacere. Io mi metto sempre dall'altra parte, quand'ero tifoso sognavo momenti del genere e sognavo che un giocatore si buttasse tra i tifosi. Quand'ero piccolo c'erano giocatori che andavi a chiedergli la maglia e neanche si giravano, io comunque cerco di avere un rapporto e rispondere. A Udine dei bambini mi hanno chiesto una maglietta, quella della partita non la potevo dare e gli ho dato una felpa d'allenamento. Cerco di essere sempre disponibile, quantomeno per foto e autografi". 

Cosa pensano i tifosi delle altre squadre, di te?

"Non puoi stare simpatico a tutti, ma quello che leggo e mi fa piacere è: tifo la squadra X, ma mi piacerebbe avere un giocatore come te in squadra. Non si parla della parte tecnica, ma del carisma e di quello che trasmetto in campo. Sono tranquillo, do tutto per la maglia che vesto, ma al di fuori faccio lo stesso per le persone a cui voglio bene. Sono generoso e passionale, questo la gente lo riconosce. Ovviamente ho fatto i miei sbagli, ma l'importante è farsi gli esami di coscienza e non ripetere gli errori". 

Quali sono i modelli a cui ti si sei ispirato?

"Sono stati i giocatori che stimavo e che stimo anche tra quelli di adesso. Theo Hernandez come giocatore lo stimo tantissimo, pur essendo del Milan. Quando ero piccolo, il mio idolo era Roberto Carlos. Quand'era all'Inter mi piaceva Maxwell, ammiravo molti terzini".

C'era qualcuno che ti assomigliava o a cui assomigli?

"Ogni giocatore è diverso. Cerco di rubare e fare mie alcune cose. Cerco di prendere una cosa da ogni giocatore, ho guardato tanti video quando ero piccolo e ne guardo tuttora, per imparare da vari modelli. Pian piano sono diventato ciò che sono ancora".

Per la passione verso la maglia potresti ricordare Marco Materazzi. Che rapporto avete?

"Ci sentiamo spesso. Siamo simili nella parte caratteriale e passionale con l'Inter. Ci siamo sempre sentiti per le partite, mi fa i complimenti e parliamo. C'è un bel rapporto, ma non gli ho mai chiesto consigli particolari". 

Sul piano tecnico, quel percorso che ci hai raccontato in cosa ti ha fatto migliorare?

"Secondo me nei tempi di gioco. Quando ti alleni con determinati giocatori, la velocità del gioco aumenta. Devi saper guardare prima e leggere le azioni due-tre secondi prima. Il calcio è rapido, può succedere di tutto. Quello è stato un punto di svolta, poi quando c'è l'autostima arriva tutto".

Qual è l'azione di cui sei più orgoglioso?

"Bella domanda. A mio figlio farei vedere più le cose da non fare (ride, ndr). Scherzi a parte, dico il mio primo gol con l'Inter: la punizione contro la Sampdoria. Per il gesto tecnico e tutto l'insieme. Era la mia prima da titolare, ho segnato. Ma anche mio figlio dovrà prendere le sue decisioni, non voglio indirizzarlo in niente".

Non il gol da centrocampo, contro il Frosinone? 

"Mi son detto: la provo. Se va bene sei un eroe, se va male sei un coglione (ride)". 

Che rapporti hai coi tuoi compagni attuali? Come sono le dinamiche di spogliatoio?

"All'Inter siamo veramente un gruppo di… Non posso dire quella parola (ride). Stiamo veramente bene insieme, c'è un ambiente molto positivo e si vede anche in campo. Quello che trasmetti nello spogliatoio si vede in campo, e quello che si è visto l'anno scorso nasce proprio da quel clima. Chi entra e chi non gioca dà sempre il massimo e non è facile, perché chi non gioca non è contento. Poi magari vai più d'accordo con uno e con l'altro, però c'è un grande clima. Ho Bastoni che conosco dal Parma, Barella che ci conosciamo da quando ho 14 anni, Matteo Darmian… Conosco bene Di Gennaro, faccio gruppo con Acerbi. Poi vabbè, c'è Marcus Thuram che l'ha raccontato nel film-scudetto: l'unico che credeva in lui quando è arrivato sono io. Ma non è una cazzata, veramente. Gli dicevo sempre: "Ricordati che quando sei arrivato, non ti voleva nessuno". Cerco sempre di punzecchiarlo, nei momenti belli e brutti".

Che atteggiamento hai coi giovani?

"Cerco sempre di aiutarli, anche se a volte devi dare la bastonata. L'anno scorso ero io a portare Aleksandar Stankovic agli allenamenti, veniva con me in macchina. Per quello che ho passato, cerco di aiutare i giovani. Abitavamo uno sopra l'altro, c'era un bel rapporto. Lo stesso in Nazionale: sono entrato che ero uno dei più giovani ed ora sono un veterano. Cerco di aiutare tutti". 

Prima citavi la sconfitta in finale di Champions. Da giocatore cosa si prova?

"Finita la finale di Champions ero deluso, ero morto. Però il giorno dopo ho detto che avremmo vinto lo scudetto l'anno dopo. Quella squadra era arrivata in finale di Champions League quando nessuno se l'aspettava, sfidando rivali di valore. Siamo arrivati col Man City, tutti pensavano che prendessimo quattro gol e ce la siamo giocata alla pari. Questo dimostra che c'è un gruppo forte, le individualità vanno forte e aumentano. Quell'anno siamo partiti malissimo, poi alla fine ti parli nello spogliatoio ed escono fuori idee/consigli. Dirsi le cose in faccia, come stanno, ci ha portato alla finale di Champions. Dopo la finale ero deluso, ma anche contento perché abbiamo tenuto testa al City. Parliamo di qualcosa di unico, contro la squadra più forte del mondo. Non avevamo niente da perdere, siamo andati in campo con consapevolezza e libertà mentale. Loro avevano perso due anni prima da favoriti, cosa che poteva succedere anche contro di noi. Avendo avuto le occasioni e riguardando la partita, dico che non era il nostro momento".

Come ti approcci alla partita? Hai dei riti?

"La sera prima della partita giochiamo sempre alla Playstation fino alle 23.30/mezzanotte, poi faccio una videochiamata di cazzeggio col mio miglior amico e cerchiamo sempre di indovinare il risultato del giorno dopo. Non ci riusciamo mai. Il giorno della gara non penso ad altro. Ascolto musica da Appiano fino a San Siro. Ascolto un po' tutto, soprattutto rap italiano: Gué Pequeno, Marracash, Shiva".

C'è qualche tifoso illustre che ti ha colpito?

"Fabio De Luigi, che mi fa morire. Ha espresso grande stima nei miei confronti, a volte ci sentiamo su Instagram. Dobbiamo ancora organizzare una cena, ma non abbiamo mai tempo. Nell'ultimo film che ha fatto ho riso 4-5 giorni di fila, non riuscivo a smettere. Non l'ho mai conosciuto di persona, solo via social, ma è una persona straordinaria".

Com'è il tuo rapporto coi social network?

"Non leggo niente. Ho imparato co gli anni a leggere il meno possibile, anche i giorni. Sui social o pubblico io o pubblica il mio team. Se stai a leggere tutto, diventi matto. Ci sono mille opinioni di vario tono".

Come si vive il ritiro nel calcio?

"Nel gruppo-Inter ci piace stare in ritiro. La sera prima ci guardiamo le partite insieme, ci divertiamo e stiamo bene insieme. Ridiamo, scherziamo e ci piace. Fa gruppo. Parlando con altri miei compagni, all'estero non c'è questa cultura. Si costruisce l'alchimia, troviamo sempre un modo per divertirci".

C'è un'Inter del passato in cui ti sarebbe piaciuto giocare?

"Quella del Triplete è troppo scontata, forse, ma mi sarebbe piaciuto giocare con Maicon ed Eto'o. Quest'ultimo era un giocatore incredibile, ti trasferiva la sua aura da campione anche dalla tv".

Nel film celebrativo dello scudetto, il tuo spezzone è "Dal secondo anello alla seconda stella". Ti ricordi la tua prima volta allo stadio?

"Avevo tre anni, andavo con mio zio e mio nonno che mi portavano sempre allo stadio. Il rapporto coi tifosi va molto anche in base alle prestazioni che mettiamo in campo in campo e dal modo in cui tratti l'Inter. Io cerco sempre di trattarla in modo speciale, questa cosa magari mi aiuta nel rapporto coi tifosi. E poi comunque, negli anni, ricordo solo due giocatori che sono arrivati dal vivaio alla prima squadra dell'Inter giocando con continuità: Balotelli e Santon".