Ranocchia: "Devoto all'Inter. Di Spalletti ricordo l'empatia, Conte ti cambia la testa"

Ranocchia: "Devoto all'Inter. Di Spalletti ricordo l'empatia, Conte ti cambia la testa"
sabato 15 febbraio 2025, 09:31Rassegna Stampa
di Marco Corradi

Ai microfoni del Corriere dello Sport interviene Andrea Ranocchia, che racconta così la chiusura della sua carriera: "Era finito il fuoco, non c’era più la voglia. E poi il brutto infortunio a Napoli... Non avrei sopportato un altro intervento chirurgico, i quattro mesi della rieducazione. Volevo riappropriarmi dello spazio con la famiglia, veder crescere i bambini, un maschio e una femmina che adesso hanno sei anni e mezzo e quattro e mezzo. Basta impegni, non sentivo più la necessità di un mondo che era stato il mio per trent’anni. Troppe panchine? No, mi sono divertito di più negli ultimi anni che nei precedenti. Sono stato benissimo, mi sono sentito importante, pur giocando poco. Anzi, pochissimo. Mai avuta l’ansia della presenza, l’ossessione del ritorno personale. Mi interessava soprattutto che la squadra andasse bene. Sono strano, forse sarò diverso dagli altri".

Sei di Assisi. Francescano, buono dentro.

"Devoto a San Francesco e alla causa Inter... Venivo da stagioni indimenticabili con Spalletti, Conte, il primo Inzaghi".

Un invidiabile accumulatore di informazioni, caratteri, situazioni.

"Di Spalletti ricordo l’empatia".

L’empatia? Spalletti?

"Con i ragazzi imposta un rapporto ultrapositivo, punta molto sull’aspetto umano, sui valori. E insegna il calcio dalle basi. La bellezza di Luciano è che lavora con i grandi giocatori e le grandi squadre come se allenasse i giovani e le piccole. A fine seduta poteva fermarsi con uno di noi per lavorare sulla tecnica, sui contrasti. Lo faceva lui, non delegava ai collaboratori. Il calciatore certe cose le apprezza. Spalletti è uno che si alimenta di stima e rispetto, è gruppo. Ricordo ad esempio che una sera...".

Ricordi che una sera?

"Ero a cena con Padelli e Berni, secondo e terzo portiere. Tutti e tre giocavamo poco. Ci venne in mente di telefonargli: "Mister, vieni anche tu e paghi per tutti". Se non hai un buon rapporto con l'allenatore, non gli rompi le palle alle undici di sera. Meglio, non gli fai nemmeno sapere che sei fuori a quell'ora. Si presentò? Certo".

Conte l'hai avuto addirittura in tre tempi...

"È il mio padre calcistico. Il primo a credere in me, quello che mi ha fatto esordire e formato". 

Ma è il tuo opposto: una quota di ansia la trasmette per natura ai suoi.

"Ti cambia la testa. Lui ha rivoluzionato il calcio, esiste il filone Conte così come il filone Guardiola. Arezzo, primo allenamento, entra nello spogliatoio e dice alla squadra: “Adesso facciamo le giocate memorizzate”. Fino a quel momento si parlava d’altro, si faceva altro. In allenamento insegnava movimenti che portavi identici in partita. Ti sfiancava, le sedute erano durissime, ma garantivano risultati e quando alla fatica corrisponde il successo il giocatore ci sta col cuore. Conte ti fa credere in quello che dice e insegna, ti porta oltre il limite, ti entra nella testa e rende vincente. Guarda cosa sta combinando a Napoli con una buona squadra. Buona, non ottima. L’Inter è molto più forte".

C’è chi la vede in flessione.

"Leggo che criticano il mercato..."

Sai leggere.

«Il mercato serve a migliorare la rosa. Ma come la migliori quella dell’Inter? È forte nelle prime e nelle seconde linee. Cambiare per cambiare non ha senso: sai cosa lasci ma non sai cosa puoi trovare".

Sei peggio di Marotta, carichi di responsabilità Simone

"Posso parlarti solo del primo Simone, che somiglia tanto a Spalletti. È uno che si fa voler bene dalla squadra, i giocatori lo seguono perché ne rispettano prima il carattere e poi le idee. Quello che accade da sempre a Ancelotti".

Cosa pensi di Thiago Motta?

"Con lui ho giocato e mi aiutò molto nell’inserimento. Calciatore intelligentissimo, fuori dal comune, sempre ben posizionato, faceva la cosa giusta al momento giusto, di una qualità disarmante".

Per lui eri Johnny Stecchino.

"Perché ero molto magro. Non pensavo che sarebbe diventato allenatore perché è un introverso. A Bologna ha fatto benissimo, un miracolo, ma dal Bologna alla Juve il salto è enorme, ci vuole un po’ di tempo per adattarsi .... Adesso che mi ci fai pensare, gli stavo simpatico. Per anni ci siamo scritti, anche quando era al Psg".

Soffermiamoci sul salto.

"Alla Juve devi vincere, vincere e ancora vincere. Lo impone la storia del club. La Juve non la cambi, è lei che cambia te. Io non ho ancora capito quale sia il futuro di questa squadra, quale il progetto, cosa o chi li abbia spinti a fare quel mercato e dove vogliano arrivare. Alla Juve serve gente da Juve. Thiago è speciale, spero che gli sia dato il tempo e il materiale".

Se non sbaglio, all’appello mancano ancora Gasperini, Sarri e Ventura.

"Per un difensore Gasperini è il massimo. L’ho avuto poco, ma quel poco mi è bastato per apprezzarne le idee e la mentalità. Era già moderno al Genoa, lui da una parte e gli altri dall’altra. E oggi viene imitato, se non addirittura copiato".

Sarri l’hai avuto ad Arezzo.

«Conte, Sarri, Conte, quell’anno retrocedemmo. Sarri è il maestro. Si sofferma su particolari solo apparentemente marginali: la posizione del corpo, dei piedi, è geniale».

A Ventura è invece legata l’esperienza più negativa e non per colpa sua.

"Il caso scommesse del 2010. Mi ritrovai coinvolto soprattutto dai media. Gli inquirenti verificarono immediatamente che non c’entravo affatto. Non arrivai nemmeno al dibattimento. Gli interrogatori, il mio nome sui giornali, ero giovanissimo, avevo solo diciannove anni. Turbato no, perché sapevo di essere estraneo a tutto, infastidito però sì. Ero appena arrivato all’Inter, gennaio 2011, tre giorni dopo Leonardo che aveva sostituito Benitez, ed ero nel giro della Nazionale. Quando i giornali trattavano l’argomento compariva sempre il mio nome. Per fortuna quella stagione al Bari la giocai per metà perché mi ruppi il crociato".

La devozione all’Inter come la spieghi?

"C’è bisogno che te la spieghi?".