Prendiamoci ‘sti tre punti. Ci vediamo tra due settimane (la fantasmagorica Nations League imperversa…)
Alla fine, vittoria fu. Sofferenza? Cinque minuti in tutta la partita, secondo più secondo meno. L’Inter, agevolata da una follia pallonara di Guillermo Maripàn - vedendolo e rivedendolo davvero un brutto intervento ai danni di Tikus, costato il rosso al difensore cileno che ha lasciato i compagni in dieci fin dal minuto venti – l’Inter dicevamo, dopo un primo quarto d’ora di accademia con passaggini e passaggetti laterali senza pericolosità, ha iniziato a spingere e giocare seriamente a calcio costruendo, negli ultimi venticinque minuti della prima frazione, perlomeno cinque barra sei chiare occasioni da gol, dominando e stradominando in ogni settore del campo. Doppietta di Thuram e, pensi, partita in cassaforte. Il Toro in dieci, preoccupato più di prestare attenzione alla fase difensiva viene, bontà nostra, rigettato nella mischia grazie alla solita, mi vien da dire, sbadataggine difensiva.
Insomma, i primi quarantacinque li chiudi sopra di uno quando, in situazione normale, avresti dovuto avere un paio di gol di vantaggio, tre mi sembra brutto, penalizzante per i granata. Comunque sia, la ripresa prosegue sulla falsa riga di quanto visto precedentemente: nerazzurri in controllo totale, Torino a lottare su ogni pallone cercando di non mollare nemmeno un centimetro. Il terzo gol è nell’aria, almeno così sembra: e il terzo gol, puntuale, arriva. Tripletta del centravanti nerazzurro e fine della festa. Tiri un sospiro di sollievo, ti adagi sul divano, respiri profondo, il battito del cuore rallenta e hai perfino tempo per alzarti, versarti da bere qualcosa, mangiare patatine e arachidi tostate. Fino a cinque minuti dal termine quando, dal nulla assoluto, sempre i nostri offrono al pubblico pagante e non l’ennesimo pastrocchio condito da rigore contro - corretto il fischio - poi realizzato, finendo col fiatone una partita comoda. Ma comoda comoda. Vabbè, inconvenienti del calcio, verrebbe da dire. Vero, il calcio piace e appassiona più degli altri sport proprio per quella sua unicità: non è detto che il più forte vinca oltre a clamorosi luoghi comuni provati a smitizzare più e più volte senza successo, la palla è rotonda e le partite finiscono quando fischia l’arbitro.
In sostanza: l’Inter gioca bene per tre quarti di una gara comandata e guidata sciorinando anche ottime giocate senza mai dare l’impressione di essere in difficoltà. Due disattenzioni, come altro vuoi chiamarle, e la squadra paga con gli interessi. Nove gol subiti in sette partite, per chi in tutta la scorsa stagione ne ha presi ventidue, sono una enormità. Qui c’è da lavorare. Sulla testa dei giocatori. Che, a volte, sembrano distrarsi con una facilità irrisoria, figlia di cali di tensione inspiegabili. Perché questi ragazzi hanno dimostrato che, se concentrati al massimo, sono ancora difficilmente perforabili.
Simone da Piacenza, al di là delle dichiarazioni e dei sorrisi, pensaci tu.
Alla prossima, ora spazio alla sosta: la fantasmagorica Nations League imperversa.
Avanti l’Effecì.
Testata giornalistica Aut.Trib.di Milano n.160 del 27/07/2021
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