Non si casca mai nella storiella dei due Scudetti persi. Inzaghi come Sir Alex Ferguson?
Solito nulla cosmico nel fine settimana pallonaro, lasciamo spazio a quella manifestazione che si gioca con molte spiegazioni sul perché mai sia nata o sulla sua (relativissima) importanza nel panorama calcistico europeo: dopodiché, quando si spiega molto, c’è sempre, o quasi, qualcosa che non torna. Approfittando della monotonia di un variabile sabato tardo pomeriggio in attesa di qualche notiziona, assente fatta eccezione per la pessima dell’infortunio a Valentin Carboni – coraggio ragazzo, ti aspettiamo presto – rimugino sulla mia squadra che non gioca, rendendomi giornate e serate footbalistiche noiose, vedere la fantasmagorica Nations League anche no, poco trasporto e ancor meno entusiasmo. Con tutto il rispetto possibile verso chi riesce ad appassionarsi a una cosa di cui nessuno sentiva la mancanza. Calciatori in primis, costretti all’ennesimo extra come se il calendario non fosse già pieno di impegni. Rischiando infortuni vari: tanto a pagarli, alla fine, sono i club di appartenenza.
Già, mi manca l’Inter. Mi manca quel gioco creato da Simone, sposato e portato avanti dai giocatori, tutti, indistintamente, che tanto mi ha divertito in queste stagioni, ovverosia da quando il tecnico piacentino sta seduto, facciamo in piedi, davanti alla nostra panchina. Badate, il mio non è un discorso aziendalista tipo “volemose bene” o non ci sono problemi di sorta, perché mai dovrebbero essercene.
Ma anche no. Anzi, per un paio di mesi sono stato molto incline a lasciar andare Inzaghi a fine stagione – mai durante, mai - senza nulla a pretendere, avrebbe detto Totò: quella cavalcata in Champions, quella finale raggiunta con un derby padroneggiato, spadroneggiando, in lungo e in largo, quel coraggio a Istanbul nello stare in campo creando molto più di chi la coppa, alla fine, l’ha vinta - a me della testa alta interessa assai poco, mettiamolo bene in chiaro - mi hanno aperto gli occhi, trasmettendomi passione. La stessa che Simone nostro e i suoi mettono nel giuocare al pallone. Perché l’Inter giuoca al pallone.
E, perdonatemi, non casco nella storiella dei due scudetti persi: ricordo, nemmeno sommessamente, cosa si raccontava quando ci privammo di Hakimi e del numero 9. O come venne etichettata la campagna acquisti/cessioni dell’estate precedente la seconda stella. Pochissimi ci pronosticavano protagonisti: non vincenti, semplicemente protagonisti. Perciò, perdonatemi, io sull’accelerato dell’Inzaghi che perde due campionati già vinti non salgo, nemmeno per scherzo. Ci sarà da criticare? Si farà, senza sconti e senza crediti, la riconoscenza non appartiene al calcio. Ma Simone Inzaghi me lo tengo stretto. E, già che ci sono, rammento il grande Sir Alex Ferguson: prima di vincere qualcosa passarono tre annetti. Oggi, in tre annetti, Simone ha vinto due coppe Italia, tre supercoppe italiane, uno scudetto. Oltre la sfigatissima finale Champions.
Senza i denari di quel Manchester United. Tanto per dire.
Alla prossima, avanti l’Effecì.
Testata giornalistica Aut.Trib.di Milano n.160 del 27/07/2021
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