Marcus e Marko: facce diverse di un'Inter che vince
Quando Tikus ha buttato dentro quel pallone, lo confesso, ho tirato un urlo che i miei condomini, non il mio vicino perché stava gridando come un ossesso pure lui, avranno pensato a chissà cosa stesse capitando sullo stesso pianerottolo. Un gol pesante come una montagna in chiave futura, altro che macigno. Un gol che ci porta lassù, nell’alta classifica, in attesa del prossimo trittico di sfide: Arsenal, Lipsia e Leverkusen ci diranno, con certezza quasi assoluta, quale potrà essere il nostro ruolo e il nostro cammino nella massima competizione europea.
Diciamolo subito: non è stata una bella Inter, una di quelle da stropicciarsi gli occhi, anzi. Per lunghi tratti, soprattutto in un primo tempo abulico al limite dell’accidioso con rischio annesso di subire gol - i nostri eroi sembravano passeggiare per il campo, perennemente raddoppiati dagli avversari, tecnicamente assai meno dotati ma con una grinta che i nerazzurri avevano dimenticato negli spogliatoi, sempre in ritardo sulle seconde palle - mi sono chiesto, e come me credo la stragrande maggioranza dei tifosi della Beneamata, se i ragazzi non fossero caduti nel trappolone di snobbare l’impegno che tanto, prima o poi, il gollonzo sarebbe arrivato per grazia ricevuta, gentile omaggio degli dei del calcio. Senza girarci troppo intorno, ho rivissuto l’incubo di Monza, partita di una bruttezza rara: e ho temuto, fino all’urlo liberatorio, di ripeterne il risultato. Poi se hai Dimarco e il suo piedino, Lautaro e la sua intuizione, Thuram e la sua fame di gol ecco che le cose, all’improvviso possono cambiare: sono cambiate proprio mentre stavamo tutti quanti pensando cosa raccontare di una gara che, in novanta minuti, ha raccontato gran parte di ciò che significa tifare Inter. Del primo tempo abbiamo parlato, non ho nemmeno voglia di tornare sull’argomento, troppo brutti per essere veri. Nella ripresa, cambiando qualche uomo, le sensazioni sono state diverse: l’Inter ha cominciato a giocare a pallone. Intendiamoci, senza esaltarsi ed esaltare troppo ma, perlomeno, ha cercato la porta avversaria sfiorando il gol in un paio di circostanze. Rigore sbagliato a parte, che forse avrebbe indirizzato la partita in una direzione diversa.
Lasciatemi spendere un secondo su Arnautovic, per chiudere. Il ragazzo, ormai non è più un’ipotesi ma qualcosa di più, soffre maledettamente il peso della maglia. Vorrebbe fare e strafare poi, a un tratto, si spegne l’interruttore e sbaglia tutto ciò che è possibile sbagliare. Eppure, lo sottolineo dal primo momento e continuerò a pensarlo, tanto più dopo ieri sera, Marko ha colpi di classe pura, cristallina. Ieri non gli avrei fatto tirare il rigore: lui però lo ha voluto, lo ha desiderato, ha preso il pallone ed è andato diretto sul dischetto. Nonostante il viso raccontasse altro. Inquietudine, tensione, insicurezza. Non importa: i rigori li hanno sbagliati tutti, non sarà certo quello di ieri a farmi cambiare idea sulle sue doti. Quindi forza Marko.
Testa alla Juve: siamo all’inizio, vero, ma lasciare gli avversari diretti indietro il più possibile dà vantaggio. Di punti e di testa.
Alla prossima, avanti l’Effecì.
Testata giornalistica Aut.Trib.di Milano n.160 del 27/07/2021
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