L’Inter di Inzaghi nasce da una sconfitta: col City non è una rivincita ma un test di crescita. Turnover da sistemare, per Lautaro una sola cura
Ci sono un prima e un dopo, nella storia di Simone Inzaghi e dell’Inter. Un momento a partire dal quale la squadra è diventata davvero dall’allenatore, e ha preso l’ispirazione per vincere. Se poi quello che si aprirà sarà un ciclo o meno, può dirlo solamente padre tempo. Quel momento è una sconfitta, è l’istante in cui Rodri segna e il Manchester City vince la Champions League a danno dei nerazzurri. Per certi versi è paradossale, ma del resto tutti dicono che perdere vuol dire imparare. Da Istanbul, l’Inter ha portato a casa tanta amarezza, ma pure una consapevolezza che prima non aveva e in seguito l’ha portata allo scudetto.
L’Inter ritrova la sua nemesi. La bestia che non è riuscita a domare ma che l’ha fatta diventare grande. Inzaghi ha detto, benissimo, l’ovvio: non è una rivincita, non avrebbe neanche senso prendersela. È un test di crescita, in una competizione di cui nessuno conosce il funzionamento e che quindi tutti vogliono affrontare vincendo. Guardiola ha detto che l’Inter può vincere la Champions, ma la storia recente di questa coppa racconta che è spaccata in due: le squadre che possono vincerla e quelle che le vincono. Il City sta nel secondo gruppo, poi può toccare al Real o al Bayern ma la dimensione è quella. L’Inter è a metà del guado: stasera vale tre punti e stop, ma la curiosità è relativa a come gestirà una corazzata.
Anche perché i campioni d’Italia non arrivano benissimo all’appuntamento. Il turnover a metà col Monza non ha convinto, al netto del risultato. Rinunciare a Barella e Calhanoglu in un colpo solo è troppo, schierare Lautaro perché deve sbloccarsi non ha senso. Il mercato, per ora, non ha aggiunto nulla: è presto, ma Zielinski e Taremi sono corpi estranei, quantomeno nel minutaggio. Palacios lo vedremo verso febbraio marzo se tutto va bene: a sinistra manca un giocatore, fino al rientro di Buchanan che comunque giocava col contagocce. Martinez sono tanti soldi spesi per quello che al momento più di un secondo portiere non può essere. In questo contesto, è evidente che Inzaghi debba trovare aggiustamenti diversi dall’anno scorso, quando l’obiettivo dichiarato era il campionato. Se vuole giocarsela su due fronti - sarebbe comunque la vera novità del suo ciclo - serve più fluidità.
Il tecnico ha ragione su una cosa: Lautaro non è un caso, non è un problema ma una soluzione. Però è vero che l’argentino non segna e non è nemmeno nuovo a blackout che sembravano dimenticati. Si ragiona sullo stato di forma: l’unica cura per il Toro è il gol, l’unica soluzione e non cercarlo come un’ossessione. Anche andando in panchina quando ci deve andare.
Testata giornalistica Aut.Trib.di Milano n.160 del 27/07/2021
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