Inzaghi ha portato l'Inter nell'élite. E pensate se avesse avuto un'altra punta...
"L'Inter è un'anomalia tra i top club europei: non dribbla quasi mai": così titola un approfondimento di The Athletic all'indomani della sfida fra la squadra di Inzaghi ed il Manchester City. Prima considerazione: anche all'estero i nerazzurri hanno stupito con la prova fornita all'Etihad Stadium e vengono oggi considerati alla stregua degli altri top club. Non è che sia così scontata come cosa, dato che gli stessi giocatori cercavano certezze dopo l'eliminazione agli ottavi della stagione precedente. Seconda considerazione: sorprende tanto in Italia quanto altrove il fatto che l'Inter riesca ad arrivare ai risultati - offrendo peraltro ottime prestazioni - senza usare quasi mai l'arma dell'uno contro uno.
Nelllo stesso articolo si legge infatti come l'Inter sia andata vicina a portare a casa l'intera posta in palio, arrivando a rendersi pericolosa con "azioni dirette e passaggi filtranti, dopo aver superato la pressione del City", il tutto "nonostante non abbia quasi mai tentato di dribblare un avversario". Soltanto Marcus Thuram ci è riuscito, in un caso. L'Inter insomma è un'eccezione assoluta nell'élite europea, dato che ha tentato il minor numero di dribbling tra le 96 squadre nei cinque principali campionati del Vecchio Continente la scorsa stagione.
Questa lunga premessa rende sicuramente l'idea da un lato di quella che è stata la strada seguita da Simone Inzaghi, che ha saputo fare di necessità virtù proponendo lo scorso anno un calcio che raramente si era visto nel corso della storia nerazzurra, il tutto senza avere il classico giocatore in grado di rompere gli equilibri con un dribbling o un cambio di direzione improvviso. Non che non ci abbia provato ad inserirlo nel suo 3-5-2: prima Alexis Sanchez e poi Joaquin Correa però, per motivi differenti, non hanno mai convinto fino in fondo. Poi certo, anche il credo del tecnico va decisamente in questa direzione, dato che non prevede per esempio ali offensive pure o la presenza del classico trequartista.
Al di là dell'aspetto prettamente tattico però, sorge spontanea una domanda vedendo il super-utilizzo di Thuram e Lautaro che finisce stremato in panchina: sarebbe servita un'altra punta? Magari proprio con caratteristiche differenti, più vicine a quelle di una seconda punta? La partita contro il City ha detto di sì e lo stesso Inzaghi indirettamente ha mandato una indicazione chiara contro il Monza, rispolverando proprio Correa dietro ad Arnautovic e Taremi, nel finale. Un tentativo estemporaneo che nasconde quella che era probabilmente una esigenza di questo mercato. Non considerata primaria, rispetto alla necessità di coprire al meglio altri ruoli rimasti scoperti, vedi il vice-Sommer o il vice-Bastoni. Certo, questo non toglie che all'Inter una quinta punta, in una stagione che porterà a giocare dalle 51 alle 69 partite, sarebbe servita. E' rimasto Correa, ma lo ha fatto più per mancanza di alternative che per scelta convinta di puntare nuovamente su di lui. E non è un segreto che, qualora l'Inter fosse riuscita a far uscire lui e/o Arnautovic, con ogni probabilità avrebbe puntato su un profilo differente da quello della classica prima punta centrale, proprio per offrire più soluzioni alla squadra. Non a caso il nome di Albert Gudmundsson è stato uno di quelli maggiormente chiacchierati in orbita interista, prima che si accasasse alla Fiorentina.
Chissà se a gennaio l'Inter ci penserà di nuovo, magari vedendo come andranno le cose da qui ai prossimi mesi. Perché la squadra ha dato una prima risposta sul campo di volersera giocare con tutti, ma di fatto Inzaghi fra Monza e City ha dovuto fare turnover potendo contare solamente su 3 attaccanti di sicuro rendimento, il che ha portato Lautaro Martinez a giocare a Monza e riposare a Manchester. Non si tratta di emergenza, ma nemmeno di una situazione ideale da gestire per l'allenatore dei Campioni d'Italia.
Testata giornalistica Aut.Trib.di Milano n.160 del 27/07/2021
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