Barbano sul CorSport: "Inter, non è solo colpa di Lukaku. E Inzaghi deve cambiare"
La contro-prestazione di Romelu Lukaku è stata uno shock per l'Inter, che sperava di aver ritrovato il suo cannoniere dopo il poker in due gare col Belgio, e viene analizzata così da Alessandro Giudice sul Corriere dello Sport: "I quattro gol con il Belgio sono già un ricordo lontano, il Lukaku visto ieri è l’elefantiaco ectoplasma del cannoniere che fu. Ma la sua involuzione non spiega tutta la crisi dell’Inter, che ha rimediato la decima sconfitta in campionato – le ultime tre di seguito - su ventotto gare giocate. C’è un male oscuro che attanaglia l’agonismo e la lucidità dei singoli, ma soprattutto l’empatia delle relazioni in campo, e che induce un altruista come Mkhitaryan a fallire un gol difficile invece di eseguire un assist elementare. La sfiducia si è impossessata delle coscienze nerazzurre, come una febbre strisciante che ottenebra l’intuito sull’ultimo miglio di ogni gesto atletico, che sia il tocco a porta vuota mancato dal centravanti belga o la scarpata di Dumfries su Terracciano in uscita. Certo, l’evanescenza di Lukaku ha un peso non indifferente. Due anni fa mise a segno ventiquattro gol, per ora si è fermato a tre. La performance di ieri mostra plasticamente la gravità della sua crisi: il gigante belga è presente in quasi tutte le azioni offensive e lotta su tutte le palle che riceve, ma incespica in errori di concentrazione e di tempismo, che raccontano un impasse psicologico prima che atletico".
Si prosegue poi parlando di Simone Inzaghi: "Per Inzaghi il bilancio è preoccupante, al di là dello stesso risultato. Perché non è ammissibile che una squadra costruita per vincere in Italia e all’estero subisca il dominio del gioco contro un’outsider sulla carta inferiore in tutti i reparti. Segno che la crisi di fiducia ha intaccato come una ruggine l’impalcatura tattica. È come se il triangolo su cui poggia, tutta intera, l’ambizione nerazzurra avesse perso i lati: nei tre vertici di cui si compone, Brozovic, Barella e Mkhitaryan corrono ognuno per conto proprio, ma non paiono più in relazione, come se qualcosa si fosse irrimediabilmente spezzato nel vicendevole palleggio e scambio di posizioni che fa di una regia una responsabilità solidale. L’armeno è ancora il più ispirato, il cagliaritano il più tenace e ubiquo, il croato il più prevedibile e lento. In ogni caso nessuno dei tre sembra in grado da solo di imporre quella leadership che nell’era Conte portò l’Inter al trotto verso lo scudetto con tre sole sconfitte in tutta la stagione. Con la Lazio che a Monza può staccare il gruppetto “europeo”, per Inzaghi il finale di stagione è un carico di responsabilità che rischia di farsi troppo pesante. Non può perdere terreno in campionato, e allo stesso tempo deve concentrare le migliori energie per Coppa Italia e Champions. Dove la Juve risanata e un Benfica in ottima salute l’aspettano al varco. Dopo aver mischiato fin qui le carte in tutte le possibili combinazioni del suo tre-cinque-due, è chiamato a mettere in discussione un modulo che, con gli uomini che si ritrova, non lo garantisce in mezzo e non fa la differenza sulle fasce. Chissà se dopo dieci sconfitte non consideri ipotesi diverse ed estranee al proprio orizzonte tattico. Come quella che preveda l’impiego simultaneo di Brozovic, Calhanoglu, Mkhitaryan e Barella. Un quattro-quattro-due che ora suona come una sfida alla sua rigidità".
Testata giornalistica Aut.Trib.di Milano n.160 del 27/07/2021
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