Cordoba: "Per l'Inter ho rifiutato due volte il Real. Mourinho ti tira fuori il massimo, Moratti..."

Cordoba: "Per l'Inter ho rifiutato due volte il Real. Mourinho ti tira fuori il massimo, Moratti..."
Oggi alle 13:42News
di Marco Corradi

Nel suo intervento ai microfoni di Radio TV Serie A, Ivan Ramiro Cordoba ricorda così il suo approdo all'Inter: "Non mi sono mai pentito di aver scelto l'Inter. Era una grande squadra. Avevo promesso a me stesso, come ambasciatore della Colombia in un altro Paese, di fare qualcosa di importante. Io non volevo essere uno come un altro. Anche vincere una Coppa Italia per me era il massimo. Non ho avuto alcun dubbio, al di là del fatto che il Real ci ha provato in due occasioni, dicendo addirittura che i soldi non erano un problema per quel che volevo o che voleva l'Inter. L'intermediario mi ha detto che doveva portarmi al Real, ma io ho detto che avevo già parlato con Moratti per restare. Avevo già detto a Moratti che se anche mi avessero offerto il doppio io sarei rimasto. Dopo, quando Cambiasso è arrivato all'Inter, lo stesso intermediario mi ha detto che aveva il compito di andare al Real. E ho detto di no, perché avevo un accordo col presidente. Però in qualche situazione negli anni in cui non si vinceva, io chiedevo a Javier, perché avevamo i giocatori forti, cosa ci mancava per vincere. Lui mi diceva sempre di stare tranquillo, che il lavoro avrebbe pagato, i trionfi sarebbero arrivati. E così è stato".

Perché proprio l'Inter?

"Perché il calcio italiano era come entrare in un romanzo per qualsiasi calciatore. Anche se il Real era pazzesco, ma il calcio italiano è il romanticismo del calcio. Io mi reputo un romantico e volevo andare lì. L'Inter è venuta a cercarmi, aveva tutte quelle stelle. Non ci vedevo più. Anche se Ruggeri, che aveva buoni rapporti col Real, mi disse che potevano darmi di più per cartellino e stipendio. Ma io avevo già scelto l'Inter, mi vedevo già lì con quei giocatori, quello stadio Meazza. Non ho avuto dubbi. Una volta a Milano ricordo soprattutto il primo appuntamento con Moratti. Le prime parole che mi ha detto le ho messe nel cuore: 'Tu hai un carattere molto forte, quando giochi. Ci saranno momenti in cui sbaglierai, ma quello al tifoso interista non interessa. Quello che non ti perdonano è se non lasci tutto. Con quello puoi rimanere tutto il tempo che vuoi'".

Moratti.

"E' stato più di un papà. Era il significato di una famiglia. L'esempio che dava ci portava a comportarci così. Lui ci diceva che la cosa più importante erano i tifosi. Ci teneva tanto a questa gente che faceva i sacrifici per vedere una partita, o quelli che viaggiano per la squadra. Ha sempre cercato di avvicinarci ai tifosi. Questo contatto ci deve essere sempre perché quando le cose si separano c'è qualcosa che non funziona bene".

Mourinho.

"Il mio terzo figlio si chiama Juan José ma non c'entra col mister. A noi piacevano molto questi due nomi. Tanti hanno collegato col mister, ma non c'entra. Quando lui arriva hai l'idea che c'è un allenatore che le sa tutte. Quando poi arriva e parla, capisci perché è Mourinho. Non gli sfugge niente. Ci sono stati tanti insegnamenti. Uno che mi ha colpito è che ha una capacità di tirarti fuori il massimo, ma seguendo una linea sua con modi brutti o buoni. Ti porta a dare il massimo cercando di far uscire fuori da te la rabbia. Lui soprattutto il primo anno vuol capire chi vuol stare con lui ed è capace di affrontare quel che arriva dopo. Lui deve vedere chi è con lui. Ti mette alla prova, a volte ti stuzzica, a volte non ti fa giocare per vedere come reagisci. E a volte anche se non ti fa giocare per un mese, poi ti mette alla partita più importante di quel momento. Lui sa che quella squadra è lì per lui in ogni momento in cui c'è bisogno. Sono successe tante cose, se mettiamo tutto quel che è successo nello spogliatoio viene fuori un'altra cosa. La litigata di Bergamo fu una cosa forte. Lui diceva che non lo avremmo mai sentito parlare male di un giocatore. Quando accade, lui parla male di me e mi diede anche degli anni in più di quelli che avevo. Lui però è furbissimo, disse che avevamo perso il primo tempo 3-0, ma il secondo avevamo vinto 1-0... Il giorno dopo lui ha convocato una riunione e ci siamo detti tante cose in faccia. Da lì abbiamo cominciato a conoscerci. Abbiamo capito che lui era anche quelle situazioni. C'è stato l'inizio di una ricostruzione per andare a vincere".

Durante la stagione del Triplete avete mai pensato che fosse quella giusta?

"Nella mentalità del calciatore queste cose non le pensi tanto perché è come se ti bruciassi. Vai avanti partita per partita. Abbiamo vinto Coppa Italia, Scudetto e non pensavamo al Triplete. Pensavamo a vincere quella finale, ma dietro quella finale c'era una storia pazzesca: il Triplete, la Champions dopo 45 anni. Non lo fai perché ti riempi di una responsabilità esagerata. La devi vivere, come quando sei piccolo devi gioire di quei momenti e fare come sei abituato a fare, perché sennò ti congeli nel momento giusto e non fai bene".