Vada come vada, orgoglioso di questi ragazzi. E di chi li allena

Stavolta non ci sono né se né ma. Bergamo è sicuramente tappa fondamentale nella lunga strada che porta verso lo scudetto: cruciale, mi viene da dire. Ma non decisiva. Perché, se analizziamo bene la situazione, per quanto possa andare male finiresti per trovarti a due eventuali punti da chi ti precede o, in caso di pareggio, resterebbe un solo punticino di svantaggio: ammesso e non concesso che chi ti segue a ruota dovesse portare a casa i tre punti, beninteso. Che si sudano sul campo e non sono concessi per diritto divino. Quindi, partendo dal presupposto che la seconda in classifica vinca a Venezia la situazione, per quanto un filo più complessa, resterebbe comunque assai fluida, piaccia o meno, e nulla sarebbe deciso. Certo, se a vincere sul campo dell’Atalanta dovessimo essere noi, perché no, allora potrebbe sì essere una botta per le inseguitrici. Sbancare Bergamo non è facile, riuscirci equivarrebbe a una prova di forza indubbia e qualche certezza, a chi rincorre, potrebbe venir meno.
Oggi l’Inter viaggia 14 punti sotto il campionato scorso: detta così potrebbe sembrare chissà cosa. Però, se ci pensate bene, la stagione appena trascorsa è davvero stato un unicum, una di quelle annate durante le quali tutto gira per il verso giusto, al di là del tuo valore insindacabile. Parlando con un ex calciatore, capocannoniere della Serie A con la maglia dell’Inter in una delle stagioni più esaltanti della storia nerazzurra, mi raccontò che quell’anno, anche fosse rimasto fermo in mezzo all’area di rigore, il tiro di un suo compagno avrebbe incocciato la sua gamba finendo in rete. Perché quella stagione in particolare doveva andare così, non è questione di essere più o meno bravi. E chiunque abbia giocato a calcio sa di cosa sto parlando. Dal momento che io credo nella sfiga pallonara magari, la scorsa stagione, qualcuno dei pali con palla sputata in campo oggi chissà, forse avrebbe gonfiato la rete. Superstizioni medioevali, potrete pensare: che volete, credo che il calcio sia anche una questione di casualità, altrimenti certi risultati non si spiegherebbero. Senza dimenticare che questa squadra è rimasta praticamente la stessa dello scorso anno, con calciatori che non si sono fermati un attimo, l’aggravante di qualcuno prestazionalmente peggiorato, ricambi non all’altezza – almeno non sempre, siamo generosi – di chi andavano a sostituire. Così, a cantare e portare la croce, sono stati sempre gli stessi, inutile stare a prenderci in giro. E dunque come posso non essere orgoglioso di un gruppo che continua a restare unito e coeso nonostante evidenti difficoltà? Come posso non essere orgoglioso di un gruppo che, a tutt’oggi, è in testa alla classifica di serie A – con qualche patimento come abbiamo ricordato – nei quarti di Champions League, significa eccellenza pallonara del vecchio continente, problemi altrui se non ne fanno attualmente parte e, ciliegina sulla torta, in semifinale di coppa Italia che sarà pure un porta ombrelli ma chissà perché se la vincono altri fanno festa brindando?
Sì, ammetto le mie colpe. Sono orgoglioso di questo gruppo. Di questi ragazzi. E del ragazzo più grandicello, quello che li guida. “Dove alleno io porto ricavi” aveva detto, più o meno ma lascio il virgolettato perché il senso era quello, tempo addietro. Lo hanno, lo abbiamo perché anche noi tifosi nerazzurri siamo parzialmente colpevoli, non tutti ovvio, perculato sorridendo con ghigno sardonico. Beh, che volete, alla fine aveva ragione lui, Simone, da Piacenza. Al quale, per quanto mi riguarda, dovrebbero fare un contratto vita natural durante. E la storiella del ha vinto uno scudettino con la squadra più forte negli ultimi quattro anni lasciatela a chi ha la memoria corta e non ricorda cessioni e partenze dolorose con annessi arrivi di calciatori chilometrati oltre che, chiacchiere dell’epoca, nulla di inventato, vicini al pensionamento. Meditiamo. E rammentiamo.
Alla prossima.

Testata giornalistica Aut.Trib.di Milano n.160 del 27/07/2021
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