Dimarco: "Indimenticabile la seconda stella, l'Inter è il mio sogno. Quando perdiamo..."

Dimarco: "Indimenticabile la seconda stella, l'Inter è il mio sogno. Quando perdiamo..."TUTTOmercatoWEB.com
lunedì 21 ottobre 2024, 15:00Primo piano
di Marco Corradi

Intervista-fiume per Federico Dimarco, che "passa dal Basement" e interviene in diretta al podcast "The BSMT" di Gianluca Gazzoli. Dimash parte proprio dalla nascita del suo soprannome, per poi soffermarsi su vari snodi chiave della sua carriera: "Il nomignolo Dimash è nato quando sono tornato dal Verona. Il primo a chiamarmi così è stato Inzaghi, gli è venuto spontaneo e non è più andato via".

Arrivi qui dopo la sosta-nazionali, come la vivete?

"Vestire la maglia della Nazionale è sempre bello. Ci sono tante partite durante l'arco dell'anno, tra Inter e Italia, e devi saperle gestire nel migliore dei modi. Quando hai il campionato puoi gestire meglio le gare, in Nazionale sono tutte partite secche e devi portare in alto l'onore dell'Italia. Sono contento. Stiamo facendo bene e siamo ripartiti col piede giusto dopo il brutto Europeo. Ci voleva questa nuova freschezza". 

Tecnicamente come funziona?

"Sabato abbiamo giocato col Torino, due settimane fa, e domenica sera ci siamo ritrovati a Coverciano. Giovedì in campo col Belgio, lunedì con Israele. In base a come giochi il ritrovo è domenica sera, arrivi lunedì solo se giochi proprio nel posticipo".

Siete gli stessi dell'Europeo?

"Un po' di giocatori sono cambiati, sono arrivati tanti giovani. Siamo una squadra giovane, abbiamo grande margine per crescere e siamo contenti di come stiamo facendo".

Che effetto fa la Nazionale?

"Un bell'effetto. Non ci sono arrivato prestissimo in Nazionale, ci sono arrivato due anni fa con mister Mancini facendo un bellissimo percorso. C'è stato questo Europeo, nessuno ne è contento ma si è chiuso un capitolo e si va avanti".

Non ci sono tanti giocatori che appassionano in questo campionato, non ci sono nomi clamorosi come in passato. Nel tuo caso, hai un carisma e un'appartenenza tale per cui sei diventato un simbolo. Ci tenevo ad averti qui. Hai un percorso incredibile, hai dovuto passarne di tutti i colori

"Quando scendo in campo con la maglia dell'Inter cerco di essere me stesso, come sono fuori. Sono competitivo, cerco sempre di aiutare il mio compagno e dare uno stimolo in più. Alcune gare dell'Inter hanno un'importanza diversa, cerco sempre di dare il mio contributo con una parola in più e mi piace. Devo tanto a quello che ho vissuto e passato nel settore giovanile, a quello che mi hanno insegnato. Sono cose che cerco di portarmi dentro e fuori dal campo".

Grande momento per te, sia con l'Inter che in Nazionale. In tanti parlano del tuo talento: ogni tanto ti fa sorridere, perché erano gli stessi che prima ti criticavano?

"Per me è sempre bello leggere i complimenti. Non mi piace paragonarmi con nessun giocatore, ognuno ha una storia a sé. Non mi fanno impazzire i paragoni, anche se ovviamente leggersi accostati a delle leggende fa piacere. Nel calcio si vive di momenti, nell'Inter ne ho vissuti di belli e di brutti. Quando perdiamo una partita, vedi la finale di Champions, vado in down totale. Poi analizzo le cose e cerco di ripartire, fissandomi degli obiettivi. Così è successo l'anno che abbiamo perso la finale. Finita la Nazionale son tornato a Milano e ho detto a tutti che volevo vincere il campionato. Fortunatamente è andata così ed è stata una bella rivincita".

Hai realizzato un sogno: vincere con la squadra per cui tifi. Non succede a tutti

"Fa tantissimo piacere. Vivo tante le partite, forse troppo. Però negli anni, da quando sono ritornato, pian piano giocando partite di un certo livello ho imparato a gestire le emozioni e sono cresciuto molto. Prima giocare con Barça e Real, cose che non sono da tutti i giorni, era un peso. Ora, è brutto da dire, ma è diventata quasi la normalità. E la cosa bella è giocare quelle partite lì".

Quale gara ti ha dato i brividi prima di iniziare?

"Il derby della seconda stella è stato bello emozionante. Era una partita che ci poteva dare tantissimo e togliere tantissimo. è andata bene, sappiamo cos'è successo dopo ed è stata una delle partite più emozionant"i.

Esordio in Champions?

"Amaro, abbiamo perso col Real e abbiamo perso 1-0. Non è andata benissimo, ma l'inno della Champions è unico. Ti dà emozioni e vibrazioni dentro che non si possono paragonare con nessuna competizione. è stato emozionante, però l'emozione è svanita per la delusione della sconfitta".

L'Inter perde, come la gestisce Dimarco?

"Se c'è una settimana, ci metto un paio di giorni. Non sono in down, sono veramente incazzato. Chi mi è vicino lo sa, i miei amici mi conoscono e sanno come sono. Appena scendo dallo spogliatoio al garage, mi vedono in faccia e sanno come sto. Quando ci sono tre gare a settimana, invece, azzeri subito. Fortunatamente l'anno scorso ne abbiamo perse poche…".

I tifosi si riconoscono nelle tue emozioni

"Difficile vedersi da fuori. Io cerco di essere me stesso, non faccio di più o di meno. Siamo professionisti e cerco di dare il massimo per la maglia che indosso, giocare nell'Inter per me è un sogno. Questa maglia va trattata coi guanti".

Hai giocato con tante squadre e ti sei fatto un mazzo tanto per tornare a Milano. A che età hai iniziato?

"A 5 anni. Ho fatto due anni a Calvairate, che è dalle mie parti, e poi sono andato all'Inter a 8 anni. Ho fatto tutta la trafila fino all'esordio in prima squadra dove c'era Mancini"-

Cosa vuol dire giocare nelle giovanili? Come si comportavano i tuoi genitori?

"Mio padre, quando mi ha portato per la prima volta a calcio, gli ha detto al mister della Calvairate: "Vedete com'è, se si diverte tenetevelo altrimenti me lo riprendo". I miei genitori mi seguivano e anche mio zio, ma mi hanno sempre lasciato fare e hanno cercato di tenermi coi piedi per terra. Negli anni sono sempre stato giudicato perché ero troppo piccolo di statura, non venivo ritenuto adatto e pronto. Poi alla fine il lavoro paga e sono arrivato dove sono arrivato".

Com'è arrivata la chiamata in prima squadra?

"Ho iniziato ad essere aggregato che avevo 16 anni, mi allenavo e basta senza essere convocato. C'era Mazzarri allenatore ma c'erano ancora leggende come Samuel, Cambiasso, Milito. Era l'ultimo anno di Zanetti. Quando sei così giovane, è un tuffo al cuore. Vedere Milito dal vivo è stato emozionante. Ha iniziato a convocarmi Mancini, ho fatto l'esordio in Europa League e a fine campionato ho esordito in Serie A contro l'Empoli".

Emozioni dell'esordio?

"Se non mi sbaglio era l'ultima partita del girone ed eravamo già qualificati. C'erano tanti ragazzi della Primavera convocati, ma ai tempi c'erano ancora i tre cambi e dovevi sperare. Eravamo in 4-5, sono stato fortunato e ho esordito: è stato bellissimo, emozioni così si provano una volta sola".

E poi cosa succede?

"L'anno dopo faccio sei mesi in prima squadra dove non gioco mai e a gennaio vado ad Ascoli, in una situazione difficile. Esperienza bellissima, era la prima volta che andavo fuori casa e salvarsi all'ultima giornata dopo essere stati in Serie B è stato bello".

Dopo Ascoli?

"Ho fatto Empoli, un anno dove ho giocato 13-14 gare ma non ero sceso tantissimo in campo. L'anno dopo avevo delle squadre che mi volevano, ma come giovane riserva del titolare più esperto. Non ero d'accordo e sono andato in Svizzera. Parto benissimo col Sion, prima gara di campionato e rottura del metatarso: quattro mesi fermo. Rientro che era cambiato l'allenatore, a gennaio siamo ultimi o penultimi e succede una cosa folle. Il presidente ebbe la bella idea di mandarci una settimana a fare il militare con le forze speciali francesi, per punizione visto che eravamo ultimi. Abbiamo dormito nei campi col sacco a pelo. La mattina alle 6 svegli, a camminare 5-6km, fino a che mangiavamo dentro le scatolette che scaldavamo col fornetto. L'abbiamo fatto a inizio gennaio, durante la sosta invernale. Quando me l'avevano detto non volevo andare, ma se lo facevi non ti pagavano. Un'esperienza estrema, addestramenti in cui ci facevano anche sparare. Era una punizione perché eravamo ultimi. Al rientro eravamo più carichi, ma io ho discusso con l'allenatore e non ho più giocato fino a fine anno". 

Come hai vissuto l'infortunio?

"Quell'anno lì, forse, lo stare fuori mi ha fatto conoscere altre culture e ho capito tante cose. Avevo imparato il francese, è stata un'esperienza formativa anche se non è stata facile. In quell'anno ho avuto la sfortuna di perdere un figlio, mi ero trasferito con la mia fidanzata e attuale moglie. Da lì sono tornato in Italia, ma non mi voleva nessuno neanche in Serie B. Alla fine è arrivato il Parma e ho fatto 3-4 partite, ho fatto gol e poi basta: distacco del tendine dell'adduttore del retto addominale e quattro mesi fermo. Ho giocato 13-14 partite risicate".

C'è gente che ha mollato per molto meno. Cosa succede nella testa di un giocatore che è cresciuto nell'Inter e poi ha questo tipo di percorso? Cosa pensavi e cosa ti motivava?

"A Sion volevo smettere, dopo le cose che mi erano successe. Mi sono detto: ma chi me lo fa fare di soffrire così. A volte dici quello che pensi, ti guardi dentro e io avevo un solo obiettivo: far ricredere chi non credeva in me. E alla fine, col mio percorso, ci sono riuscito. Dopo Parma sono tornato all'Inter con Conte".

C'è stato un punto in cui hai invertito la tendenza?

"A Parma mi ero fatto conoscere, ma non è stata quella la svolta. Quando rientro all'Inter Conte, dopo qualche allenamento, mi dice: "Fede, voglio che rimani". Io ero gasato e spiazzato, ma nei sei mesi non ho giocato quasi mai. A gennaio ho dovuto supplicarlo per andar via, perché all'inizio non mi voleva far partire. Erano arrivati Moses e Young, vado a Verona. Era bello stare all'Inter, ma non mi sentivo a mio agio e mi sentivo inadatto per stare lì, semplicemente non ero pronto. Ho chiesto il prestito e da lì sono stato un anno e mezzo a Verona, quella è stata la svolta".

Cos'è successo, che ha funzionato?

"Un insieme di cose. Un mister che mi ha dato la possibilità di esprimere le mie qualità, il direttore che è stato chiaro fin dall'inizio dicendomi che mi aveva preso come titolare e aveva fiducia. Infatti ogni volta che vedo sia il mister Juric e Tony D'Amico li saluto con affetto". 

Ti hanno dato fiducia

"Andare a Verona è stata una mia scelta personale. Nella mia piccola carriera non mi sono mai fatto consigliare da nessuno. Potevo perdermi ancora, ma ero convinto che con quell'allenatore e quel modo di giocare potevo svoltare, ed è successo, anche se con grande fatica. A Verona son stato veramente bene. C'è stato il COVID di mezzo, ma è una città che mi ha dato tanto. mi dispiace aver giocato con lo stadio vuoto, hanno un bel tifo. Spero di essere rimasto nel cuore dei veronesi".

Definitivo ritorno all'Inter, chi ti chiama?

"Mi hanno detto di andare in ritiro. Io non sapevo se dovevo rimanere o andare via, perché il Verona aveva il diritto di riscatto e l'Inter il controriscatto. Da lì, pian piano, esperienza dopo esperienza, cresci. Quando sono tornato ero tutt'altro giocatore, ma non ero pronto per giocare determinare partite. Le varie esperienze nello spogliatoio e l'aiuto di determinati giocatori mi ha fatto alzare il livello, ho rubato tante cose positive e da lì è iniziata la scalata, fino ad arrivare a ciò che sono ora". 

A chi hai rubato di più?

"L'anno che sono tornato ho preso tanto da Perisic. Quell'anno è stato devastante. Poi nello spogliatoio, quando hai gente come Dzeko, ti trasferisce quel tipo di approccio da grande squadra. C'erano Skriniar, Handanovic, Barella che conosco da quando abbiamo 14 anni, Bastoni che era con me a Parma, Lautaro…". 

C'è qualcuno in particolare che ti ha colpito, dicendoti qualcosa che non ti aspettavi?

"Il direttore Piero Ausilio mi ha detto delle parole che mi hanno riempito d'orgoglio. Mi sono guardato indietro e mi sono commosso". 

C'è una caratteristica particolare che senti di aver acquisito nelle tue varie esperienze? Spesso si dice "farsi le ossa"

"Ogni giocatore dev'essere padrone del suo destino, dev'essere consapevole e deve andare fino in fondo nelle scelte che fa. Ognuno è diverso. Magari io ho avuto bisogno di cinque-sei squadre prima dell'Inter e ad altri basta un anno fuori. Ognuno ha il suo percorso di crescita, deve fare quello che si sente. Alla fine quello che paga è il lavoro". 

Quando sei tornato all'Inter l'ultima volta, sentivi che era per restare?

"Sì. Ho sentito quella differenza, mi sentivo veramente dentro quell'ambiente. Quando sono tornato, dopo aver fatto tante esperienze e aver dimostrato chi ero veramente, mi sono sentito parte integrante dell'ambiente Inter. Il mister mi ha fatto capire subito che mi voleva, è stata una bella svolta". 

Ti ha detto lui di restare?

"Sì. Poi quando torni e alcuni vengono da te a dirti: "Non pensavamo diventassi così"... Sono quelle le grandi soddisfazioni, anche perché a Sion pensavo di smettere. Mi ero fatto male e nello stesso tempo ho perso un figlio. Cinque mesi da incubo. Mi era venuta la voglia di smettere, ma mi sono guardato dentro e ho proseguito". 

Con tua moglie da quanto vi conoscete?

"Siamo cresciuti e siamo nati insieme. Mio papà e suo papà facevano militare assieme, mia mamma è la madrina di sua sorella più grande. Ci siamo sempre frequentati, anche la domenica ci vedevamo. Finchè a 15-16 anni ci siamo messi insieme e non ci siamo lasciati più".

Quanto è stata importante in questi momenti? 

"Tantissimo. Ha sempre cercato di tirarmi su, di dire una parola importante per aiutarmi. Essere arrivato qui è anche merito suo. Mi ha donato due figli bellissimi, quindi le sarò sempre grato".