L'Inter benedica Inzaghi, ha sormontato Conte. Per chi ha la memoria corta, anche se manca la ciliegina

L'Inter benedica Inzaghi, ha sormontato Conte. Per chi ha la memoria corta, anche se manca la cilieginaTUTTOmercatoWEB.com
Oggi alle 00:00Editoriale
di Yvonne Alessandro

Un doveroso momento amarcord che nessuno ha richiesto, ma che è doveroso fare. Per capire quanto l'intero universo nerazzurro sia mutato nel tempo. E tutto - o per grande parte - grazie a Simone Inzaghi.

Ma ve lo ricordate quando è arrivato all'Inter?
Correva l'estate del 2021 quando il club si è ritrovato spalle al muro per l'addio forzato da Antonio Conte, con la necessità di trovare rapidamente non solo un sostituto ma qualcuno in grado di illuminare il sentiero verso una gestione vincente e stabile nel tempo. Non proprio una bazzeccola considerato poi il fresco scudetto ritrovato dal tecnico leccese dopo nove anni di predominio monotono della Juventus, a undici anni di distanza dall’ultimo. Eppure era solo un punto di (ri)partenza nella mente e secondo le ambizioni della società di Viale della Liberazione.

Per fare questo grande passo, Steven Zhang e la dirigenza hanno puntato tutto su Simone Inzaghi. E questo, a onore del vero accaduto, ha generato non poche perplessità e al tempo stesso curiosità tra tifosi (e non solo). 
Lui che da 22 anni a quella parte è sempre rimasto fedele alla Lazio, da giocatore e allenatore, in quest'ultima veste vincitore di due Supercoppe italiane e una Coppa Italia. Insomma, "Sarà in grado di incaricarsi di una missione così audace all'Inter?", oppure "Reggerà le pressioni?". "L'Inter non è la Lazio", ribatteva qualche scettico. Infine: "Dovrà lavorare molto su se stesso, per togliersi qualche fissazione tattica di troppo", l'opinione critica di altri. 

È vero, l'inizio è stato abbastanza turbolento. Ricorderete bene l'eredità pesante lasciata da Antonio Conte e le difficoltà economiche dell'Inter. Inzaghi si è ritrovato al primo anno in sella alla moto nerazzurra non solo con il fardello di mantenere alta la competitività della squadra (per altro dopo il trionfo in campionato), ma anche sprovvisto di due pezzi da novanta come Lukaku e Hakimi - che gli equilibri li spostavano eccome -. 
I primi alti e bassi, mostrati in modo particolare dallo scarso turnover - a giudicare il presente oggi è pura follia - e la testardaggine di chi non poteva fare a meno degli allora titolarissimi, all'insegna di un calcio tuttavia propositivo in Italia e in Europa. E zac, nelle ultime giornate di campionato - con la Fatal Bologna annessa a fine aprile - si spegne improvvisamente il sogno di bissare lo scudetto e anticipare la seconda stella a causa del Milan di Stefano Pioli.

Un rospo troppo brutto da mandar giù, così come la parata sfrenata e a tinte rossonere per le strade di Milano, quando invece l'anno prima i tifosi interisti si sono dovuti accontentare di osannare a distanza la squadra affacciata dalle torri di San Siro. In qualche maniera il primo trofeo vinto da Inzaghi all'Inter, la Supercoppa 2021-22, aveva perso gran parte della valenza. Ma il Demone aveva già architettato il riscatto.

Il rischio di essere addirittura esonerato, non lo ha mai fermato e nemmeno fatto disperare al punto da versare lacrime in cerca di sostegno. Nossignore. Inzaghi ha guidato la nave in burrasca tutto da solo, scampando dall'occhio del ciclone e portando l'Inter a rimettersi in piedi. Continuando a lottare per i vertici del calcio italiano, vincendo una Coppa Italia e togliendosi qualche sassolone dalla scarpa con l'inimmaginabile finale di Champions League nel 2023. Un risultato che mancava da 13 anni, tanto per dire.

Un successo europeo che, sebbene sfumato nella finale contro il Manchester City, ha dimostrato come l'Inter sia tornata tra le élite del calcio continentale. Inzaghi ha saputo valorizzare il talento a sua disposizione e si è buttato alle spalle strada facendo, a furia di saltare ostacoli, i dubbi e le incertezze. Insomma, si è evoluto. Ha trasformato le rotazioni in un punto di forza, per poi far esplodere letteralmente Lautaro Martinez, Nicolò Barella e Hakan Çalhanoglu sotto la sua gestione. Tutto, non dimentichiamolo, gestendo in assoluta tranquillità le stringenze economiche del club. Senza palesare alcuna contrarietà o mal di pancia per il fiato sul collo delle cessioni simil sacrifici da apportare ogni santa estate, cosa che altri - non serve fare nomi - avrebbero fatto prima ancora di respirare. Mani avanti, come si suol dire.

Ed eccoci arrivati. Le critiche occasionali per la mancanza sporadica di un gioco fluido non hanno attecchito, Inzaghi ha saputo adattarsi alle situazioni e alle difficoltà, sollevando in cielo nell'arco di tre anni e mezzo praticamente 6 trofei. Sfiorando di tanto così la ciliegina sulla torta, il tetto d'Europa che ora con tanta foga e spavalderia chiunque brama all'Inter: senza paura, senza timore di ripercussioni. Un solo coro: "Vogliamo un'altra finale di Champions League". Per rigiocarsi quelle carte sul banco poi saltato per il maledetto gol decisivo di Rodri a Istanbul.

Piccola postilla in favore del capolavoro tracciato nel percorso: perché Simone Inzaghi non può essere considerato al livello dei top allenatori europei?

Per l'amor del cielo, non tocchiamo profeti immortali come Guardiola, Klopp o Ancelotti. Ma sarà forse un caso che la stragrande maggioranza dei tifosi in Italia voglia proprio Inzaghi come allenatore della propria squadra del cuore? Io non credo. Così come non è un caso che lo stesso Guardiola abbia detto - e cito testualmente - "È stata una partita difficile, l’Inter è una squadra meravigliosa. Sono campione d'Europa perché Lukaku ha sbagliato a 3 metri dal portiere", riguardo l'incrocio tesissimo e apertissimo in finale di Champions due anni fa. Altro che parole al vento. 

Chiaro, l'esperienza nelle competizioni internazionali è ancora in fase di maturazione, ma non nascondiamo la realtà dei fatti: l'Inter con Inzaghi ha assunto un'impronta riconoscibile. Un'identità solida, che le permette di tenere testa ai più forti in Europa. 

L'Inter ha letteralmente mancato il cielo con un dito, e ora vuole poter sognare ad occhi aperti. Magari con la coppa dalle Grandi Orecchie tra le braccia.

Perché privarsi della speranza? 

Come quella volta che un sergente di ferro è stato superato da un certo Simone Inzaghi...