Criticare ci sta: siamo tifosi, non giovani educande. Passare il limite anche no, grazie
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Oddio, ha perso l’Inter. Non solo ha perso: lo ha fatto nella maniera peggiore possibile. Lo ha fatto meritatamente, giustamente, correttamente e, già che ci siamo, aggiungiamoci pure disonorevolmente. Perché stiamo parlando di una resa totale: senza appigli, senza scuse, senza pretesti. Sono scesi in campo in sedici, cambi compresi: forse un paio hanno raggiunto la sufficienza, pure risicata. Gli altri li stanno ancora cercando ma nessuno sa che fine abbiano fatto.
Ora, bando all’ironia spicciola e da quattro soldi, Firenze è stata davvero troppo brutta per poterla considerare tappa preoccupante sulla strada che porta a fine maggio. Hai buttato altri punti che, sommati a quelli già devoluti, iniziano a costituire un discreto bottino: ma, esiste un ma, non mi sembra di essere, nonostante tutto, a distanze siderali dal vertice della classifica. Finalmente gli asterischi sono stati definitivamente cancellati: avrebbero potuto catapultarci in fuga solitaria, ci hanno costretti a riflettere mangiandoci le mani. Però, parliamoci chiaro e torniamo alla considerazione di qualche riga fa, l’Inter ammirata, eufemismo, in terra di Toscana ha rappresentato il peggio del peggio, dal mio punto di vista ovviamente, dell’epopea inzaghiana. Certo, la squadra ha perso altre volte, alcune delle quali pure fastidiose: ma mai così male, mai consegnandosi tanto spudoratamente all’avversaria di turno. Perché questo è accaduto a Firenze. Una resa senza storia. E le rese senza storia non piacciono a nessuno. Inutile snocciolare i nomi di chi ha più o meno responsabilità nella debacle: non interessa, un gruppo è sempre un gruppo, nella sconfitta e nella vittoria.
Quindi sì, comprendo perfettamente le critiche della stragrande maggioranza della tifoseria. Ci stanno. Anzi, sono salutari. Vestire sempre i panni dei buonisti non fa bene, non aiuta il gruppo, non aiuta a crescere. Mio padre, sannita di nascita e di educazione, quando mi cazziava ripeteva: ricordati, mazz’ e panell’ fann e figli bell’, panell’ senza mazz’ fann e figli pazz’. Ora, al di là dei proverbi antichi – questo deriverebbe addirittura dalla Bibbia – il senso della lettura è molto semplice: giusto amare, giusto difendere, giusto scusare. Fino a un certo punto. Passato il quale un bel cazziatone serve. Attenzione però: cazziatone con basi solide e, soprattutto, fini costruttivi. Perché se il cazziatone è tutti incapaci, mandarli via, inetti, buffoni e via di seguito, evito gli insulti per buona educazione ma ho letto assurdità sui social reiterando il concetto giorni dopo beh, scusatemi ma, esattamente, di cosa stiamo parlando? Attenzione, non si tratta di distribuire patenti di tifo, ciascuno tifa come meglio crede. Però, se il tifo diventa becero, violento e insultante non è più tifo. Non per me, almeno. Punto.
Tornando al calcio giocato, molti mi hanno chiesto se fossi preoccupato dalla sconfitta. Incazzato sì, come potrei non esserlo stato dopo lo spettacolo deprimente di giovedì sera. Preoccupato no, impossibile ripetere una misera esperienza come quella del Franchi. Impossibile pensare a un’altra partita dove non uno, non due, non tre ma perlomeno dodici dei sedici scesi in campo hanno performato con una media al di sotto del cinque in pagella. Pertanto preferisco archiviare quella maledetta serata come episodio. Da non dimenticare: anzi, da tenere ben presente nel futuro immediato.
Urge reagire sul campo, non soltanto a parole.
Urge ritrovare la barra del timone subito, prima che la nave prenda rotte sconosciute e perigliose.
La mia fiducia nella dirigenza, nell’allenatore e nella squadra continua a essere totale: non ho dubbi sul fatto che venderemo carissima la pelle lottando fino all’ultimo secondo dell’ultima giornata. Vorrei non essere tristemente smentito, grazie.
Alla prossima.
![Gabriele Borzillo](https://net-storage.tcccdn.com/storage/linterista.it/img_utenti/thumb1/d17a93393ad0fe4a567a0405f394d2b2-78691-d41d8cd98f00b204e9800998ecf8427e.jpeg)
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