Ferguson in Italia ha vita breve, ma l'Inter ha l'allenatore perfetto: perché quest'estate sarà diversa

Ferguson in Italia ha vita breve, ma l'Inter ha l'allenatore perfetto: perché quest'estate sarà diversaTUTTOmercatoWEB.com
mercoledì 1 maggio 2024, 22:18Editoriale
di Ivan Cardia

Diffidate di chi parla di un progetto alla Ferguson o alla Wenger. Non è un caso che gli esempi in questi casi li andiamo a prendere in Inghilterra: in Italia l'ottimo Sir Alex, che al Manchester United il primo titolo lo ha vinto dopo quattro stagioni di poco e nulla, sarebbe stato giubilato a furor di popolo nel giro di un paio di anni. Viviamo un'altra cultura, inutile prendersi in giro. Oltre a diffidare, i diretti interessati, ove accostati al "modello Ferguson", farebbero meglio a toccare ferro e legno se non altro. Traslocato dalla Premier alla Serie A, il paragone di solito porta sfiga.

Ergo, a Simone Inzaghi conviene tenersi alla larga da illustri precedenti. Allo stesso all'Inter conviene tenersi stretto un allenatore che sembra avere tutte le caratteristiche per rappresentare qualcosa di diverso. Giocando con le parole, sul Corsera di ieri, Paolo Tomaselli ha scritto di cicli e cicloni. La cavalcata nerazzurra verso lo scudetto è stata questo, una sorta di tornado che ha travolto la (?) concorrenza. Inserita nel contesto di un progetto tecnico arrivato al terzo anno, ma all'interno del quale ogni stagione è stata una sorta di anno zero per il numero di cessioni e acquisti, è invece già a buon diritto la parte di un ciclo vincente. Quanto durerà e cosa porterà in bacheca lo dirà solo il tempo, sì galantuomo sul lungo periodo ma sul breve molto volubile nell'alternare panegirici e sentenze.

Perché Inzaghi è l'allenatore perfetto per un progetto che sia tale di fatto e pure di nome? Far giocare bene la squadra, non basta. Probabilmente ha espresso il miglior calcio degli ultimi dieci anni, ma c'è stato e ci sarà chi fa giocare bene le proprie squadre. Valorizzare i singoli, fino a un certo punto: non tutti vi riescono così bene, ma anche questa difficilmente può considerarsi una qualità esclusiva del Demone piacentino. Fare tutto questo in un contesto economicamente complicato e senza alzare la voce: ecco, fuochino. Inzaghi dopo aver portato a casa lo scudetto avrebbe potuto alzare la voce e far volare sassolini a destra e a manca. Poteva farlo già con la finale di Champions, conquistata in una stagione a metà della quale veniva trattato come lo scemo del villaggio. Morale: alla prima occasione utile non solo ha evitato, ma ha anche mandato davanti alle telecamere il suo vice Farris. Il noi anziché l'io, un gesto che vale più degli 81 gol dell'Inter in questo campionato. E che racconta non soltanto un lato umano da lodare, l'aspetto più bello e pure più banale se vogliamo. Ma soprattutto la consapevolezza di essere parte di qualcosa di più ampio, l'ingranaggio più importante ma pur sempre un ingranaggio di una macchina aziendale e professionale ben più complessa di quanto non sembri pensando a ventidue ragazzi in pantaloncini che inseguono un pallone. È una visione che va pure oltre indiscutibili qualità tecnico-tattiche.

La capacità di formare un qualcosa di organico, che Marotta ha costruito dal suo arrivo all'Inter e Inzaghi sembra avere innata, è forse la miglior spiegazione agli ultimi mesi di Inter. La sintesi trovata fra dirigenza, a partire da Ausilio e Baccin, squadra e comparto tecnico, peraltro nonostante l'oggettiva difficoltà che l'assenza fisica del presidente Zhang comporta, è un risultato anche migliore di uno scudetto festeggiato in mezzo a trecentomila persone. È una sintesi che dovrà farsi nuovamente sintesi nei prossimi giorni, quando come al solito ci si incontrerà per discutere la strada da prendere per il futuro. Al di là del rinnovo di Inzaghi, che magari sarà un po' più lungo e arriverà un po' prima del solito, sarà un confronto inevitabilmente diverso da quegli degli anni scorsi. Perché gli ultimi dodici-quattordici mesi hanno dato forza al tecnico, che delle richieste le ha avute anche in passato ma non sempre le ha potute vedere esaudite (semplifichiamo: Acerbi sì, ma con quanta fatica? Milinkovic-Savic no). Il punto non è che Inzaghi l'avrà vinta su qualsiasi tema: ci sono contingenze economiche e di mercato che impongono una direzione, e in fin dei conti (Correa) quando è stato accontentato senza se e senza ma non ha neanche avuto ragione. Il punto è che proprio quella sintesi, con equilibri delicati ma che per ora funzionano al meglio e che forse si sposteranno un po' di più dalla parte dell'allenatore (ma il no alla rivoluzione e il sì a un paio di innesti molto mirati sembra già condiviso, offerte irrinunciabili permettendo), è il segreto dietro questa Inter. E in questo contesto Inzaghi, come il suo staff, come Marotta, Ausilio e Baccin, ci sta alla perfezione. Basta non dargli, per tutelarlo più, del Ferguson italiano: se poi durerà e vincerà per dieci anni… sarà bello raccontarlo.